L'editore
Einaudi ha edito qualche anno fa un classico del filosofo tedesco Walter
Benjamin (1892-1940) che, per inciso, morì suicida per non cadere, lui
ebreo, nelle mani dei nazisti la notte del 25 settembre 1940, mentre
stava tentando di fuggire dall'Europa.
Il
libro s'intitola "Aura e choc" e ripropone, tra gli altri saggi, il
celebre brano "L'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica"
del 1936.
Il
problema che Benjamin affronta si può esprimere in questi termini: il
fatto di essere unica e irripetibile è davvero alla base della natura ed
efficacia dell'opera d'arte ? Egli introduce la nozione di "aura" a
indicare una sorta di sacralità che costituirebbe il carattere
distintivo tra l'opera d'arte autentica e la sua contraffazione. Le cose
si complicano se "l'apparizione unica di una lontananza" (così egli
esprime l'aura) viene inquinata non da una contraffazione ma da una
nuova creazione realizzata tuttavia con lo stile e la tecnica di quelle
passate. Il caso più eclatante è quella dell'artista fiammingo Han van
Meegeren (1889-1947) che realizzò ben sei Vermeer ex novo che furono
attribuiti al grande maestro da illustri critici e che egli riuscì
addirittura a vendere per autentici ai gerarchi nazisti Himmler e Göring. La sua "Cena in Emmaus", fu considerata addirittura uno dei massimi capolavori di Vermeer.
In
questa vicenda quale novità introduce la fotografia? Essa si pone come
quella tecnologia della riproduzione che consente un accesso ed una
fruizione dell'opera d'arte radicalmente modificata rispetto al
passato. Allora a fronte di questo cambiamento profondo sorge una
domanda che
nasconde anche una ristrutturazione radicale nella storia del vedere e
della cultura visiva: se cioè, attraverso la
scoperta della fotografia non sia stato modificato il carattere
complessivo dell'arte.
Benjamin, che muove nel contesto dell'analisi marxiana della società,
individua nell'immagine tecnica e nelle trasformazioni che essa opera
nel rapportarsi e nel fruire dell'opera d'arte - in quel suo
allontanarsi dai tipici valori cultuali - un segnale di quelle
radicali trasformazioni che poggiano sulle basi economiche e che
caratterizzano la nostra epoca e si ripercuotono sulle
sovrastrutture.
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